La primavera operaia nella "officina del mondo"


di Danielle Sabai*

(nostra traduzione)


Una serie di conflitti e scioperi ha interessato un numero elevato di impianti di produzione in Cina dal maggio al giugno del 2010.


In un paese la cui forza lavoro è la più grande del mondo (stimata in circa 300 milioni di persone) e che rappresenta un enorme mercato, le controversie di lavoro sono abbastanza frequenti, anche se raramente ottengono l'attenzione dei media occidentali. Secondo la rivista ufficiale cinese "Outlook Weekly;, ci sono state 280.000 vertenze di lavoro nel 2008 ed esse sono aumentate del 30% durante il primo semestre del 2009 rispetto all'anno precedente. La recente attenzione focalizzata sui conflitti di maggio e giugno certamente non è casuale. Questi conflitti possono essere indicatori di cambiamento e conviene analizzarli.


Honda Foshan, uno sciopero esemplare

L'ondata di scioperi è iniziata nella fabbrica Honda di Foshan. Nonostante il licenziamento dei dirigenti dello sciopero ed i tentativi di dividerne la leadership, i lavoratori Honda sono rimasti uniti nel corso delle due settimane di lotta. In questa fabbrica, l'80% dei lavoratori sono studenti delle scuole tecniche nell'ambito di un contratto di lavoro "casalingo" . Essi non sono protetti dalle leggi sul lavoro in vigore e i loro stipendi sono molto più bassi rispetto a quelli dei lavoratori regolari.

Il conflitto è partito da questi studenti che sono nati dopo il 1980 e che non hanno mai vissuto l'epoca maoista. Con il loro sciopero hanno dimostrato la volontà di rivendicare la loro dignità umana, iniziando a imporre condizioni di lavoro decenti. Non vi era più alcuna disponibilità a sacrificare la propria vita e ad accettare le peggiori ingiustizie in nome degli interessi dell'impresa e del rispetto della gerarchia. Essi non hanno esitato a denunciare un modello di crescita basato sulla manodopera a basso costo e sul feroce sfruttamento della forza-lavoro, ma anche sulla mancanza di qualsiasi senso del pudore delle imprese, che pagano salari molto bassi, in cambio di profitti esorbitanti. Nello stesso periodo l'ondata di suicidi avvenuti nella fabbrica taiwanese Foxconn, un gigante dell'elettronica, che fornisce componenti a Dell, Apple e Hewlett Packard, ha messo in primo piano la condizione vissuta dai lavoratori di queste fabbriche organizzate come prigioni.

È questa la "disciplina di ferro" che combinata con bassi salari ha attirato le multinazionali ed ha contribuito a rendere la Cina "l'officina del mondo". Un'officina che assomiglia piuttosto ad una colonia penale. Caso senza precedenti, i giovani lavoratori Honda non si sono mobilitati per il pagamento degli arretrati o per l'applicazione dei loro diritti, come succede generalmente nei conflitti di lavoro in Cina, ma per ottenere un aumento consistente dei salari. Chiedevano un aumento sostanziale ed immediato di 800 Yuan sul salario di base, cioè a prescindere dal lavoro straordinario, e un aumento annuo minimo del 15%. Questo sciopero ha costretto la Honda a interrompere la produzione nel paese per diversi giorni a causa della mancanza di ricambi. La direzione ha dovuto trattare con i rappresentanti designati dagli scioperanti e accettare aumenti significativi dei salari e migliori condizioni di lavoro.

La vittoria degli operai Foshan Honda è stata un formidabile esempio di combattività della classe operaia. In seguito, le filiali di Honda, Toyota, Mitsumi Electric, Nippon Sheet Glass, Atsumitec ed altre sono state interessate da conflitti di lavoro e costrette a concedere gli aumenti salariali richiesti dai lavoratori. La stampa ha riferito che altre aziende e perfino le autorità provinciali hanno aumentato i salari senza attendere le probabili agitazioni delle maestranze.


Le ragioni della rabbia operaia


Queste rivendicazioni salariali non sono una sorpresa. Al livello più basso della classe operaia vi è una massa di circa 130 milioni di migranti che fuggono la povertà rurale. Questa popolazione fornisce la maggior parte della manodopera non qualificata per le imprese e le multinazionali che si sono insediate nelle grandi città industriali cinesi come Guangzhou, Shenzhen e Suzhou mentre nei grandi centri urbani come Shanghai e Pechino sostiene il settore delle costruzioni. Con il sistema Hukou (certificato di residenza), i lavoratori migranti non sono riconosciuti dalle autorità come lavoratori urbani. Il risultatoè che sono vulnerabili perché sono "senza documenti" nel loro stesso paese. Non hanno accesso ai servizi pubblici e quindi non hanno alcuna minima protezione sociale. I loro figli non hanno diritto a frequentare le scuole statali. Secondo il ministero dell'Agricoltura essi attualmente guadagnano una media di 1.348 yuan al mese, ossia poco meno di 154 €. Questo reddito non è sufficiente a coprire l'inflazione e, nonostante gli aumenti annui del 10-15%, i salari rimangono particolarmente bassi.

I lavoratori cinesi hanno assistito all'esplosione del numero di centri commerciali di lusso per soddisfare i vistosi consumi di una classe media di circa 300 milioni di persone, per non parlare dei nuovi ricchi e dei burocrati. Al contrario i lavoratori hanno beneficiato poco da questa enorme crescita economica. Le disuguaglianze sociali sono aumentate, in particolare tra le città e la campagna. Uno studio economico suggerisce che tra il 1995 e il 2004, il costo del lavoro è triplicato nelle grandi aziende, ma che contemporaneamente la produttività è aumentata di cinque volte, portando a un calo dei costi unitari del lavoro del 43% [1]. Per illustrare ulteriormente il punto, va notato che la quota di reddito assegnato al lavoro è diminuita del 10% in 15 anni con una conseguente diminuzione dei consumi delle famiglie. Gli aumenti dei salari attuali sono quindi solo un inizio di riequilibrio a favore dei lavoratori della loro quota di reddito nazionale.


Officina del mondo o supermercato?


Dal punto di vista delle autorità, questi aumenti salariali sono beneaccetti per due motivi. In primo luogo il governo vuole un rilancio dei consumi interni per compensare il rallentamento delle esportazioni. Inoltre, gli aumenti salariali sono anche sinonimo di miglioramento delle condizioni di vita, cosa non irrilevante per il mantenimento della stabilità politica.

Le lotte dei lavoratori dei mesi scorsi si sono sviluppate in aziende straniere, soprattutto giapponesi. Ciò ha permesso al governo di alimentare la convinzione che le società straniere siano responsabili della rabbia operaia, rinforzando così sentimenti nazionalisti.

Di fatto al governo conviene di più ottenere concessioni dalle grandi multinazionali che reprimere le lotte operaie. Non teme particolarmente che conflitti e aumenti salariali rendano il paese meno appetibile per gli investimenti stranieri. Il costo del lavoro in Cina, seppure decisivo per le imprese altamente orientate all'esportazione, non è il solo elemento che giustifica gli investimenti delle imprese straniere. Il salario medio mensile in Thailandia, Filippine, Vietnam e Indonesia di oggi è inferiore al salario mensile cinese [2]. Ma il serbatoio di manodopera di questi paesi è incomparabilmente più limitato. Inoltre, in Cina le aziende possono delocalizzare con una certa facilità. È questo il caso delle imprese di servizi di quelle siderurgiche e di quelle chimiche.

Per la maggior parte delle aziende, il principale motivo che indirizza gli investimenti in Cina è costituito dall' immensa e crescente estensione del mercato interno, proprio mentre nei paesi occidentali, in piena crisi, ristagnano i consumi . Con l'aumento dei salari, il mercato dovrebbe essere ancora più redditizio. Nessun investitore può essere insensibile a questo argomento.

Il maggiore costo del lavoro e la maggiore conflittualità più che spingere le grandi multinazionali a delocalizzare all'estero, le inducono a rilocalizzare le fabbriche nell'ambito del territorio cinese. Le aziende preferiscono lasciare la costa e trasferirsi nell'interno, dove la terra e i salari sono molto più economici. Questa riorganizzazione industriale potrebbe consentire loro di far fronte alla diminuzione della manodopera nella aree costiere industriali, diminuzione che deriva dalla frammentazione geografica del mercato del lavoro. Secondo Deng Quheng dell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali e Li Shi dell'Università Normale di Pechino, ci sono ancora 70 milioni di lavoratori rurali cinesi impiegabili come lavoratori industriali. Ma il sistema Hukou e la paura di perdere il proprio appezzamento di terra, se non lo mantengono, impedisce loro di cercare lavoro nelle città costiere. Inoltre, la popolazione cinese sta invecchiando. Un sesto dei migranti dicono che sono troppo vecchi per trasferirsi, anche se hanno meno di 40 anni[3].


Si rafforzano i diritti dei lavoratiori


La rinnovata combattività della classe operaia, rafforzata dalle vittorie di primavera, probabilmente è anche alimentata dalla nuova legge sul lavoro. Introdotta il 1 ° gennaio 2008, la "legge sui contratti di lavoro nella Repubblica Popolare Cinese" è un punto cardine della legislazione lavoristica elaborata negli ultimi dieci anni [4]. Uno dei suoi principali obbiettivi è limitare gli abusi dei datori di lavoro i cui dipendenti sono vittime di licenziamento ingiustificato o di mancato pagamento dei salari. In effetti il governo è consapevole che la dinamica della conflittualità operaia, spesso scatenata da queste situazioni, può rivelarsi pericolosa per la sua stabilità e spera anche che una maggiore protezione dei lavoratori promuova una diminuzione del turnover nelle imprese.

Negli anni '80 e '90, i dipendenti lasciavano la fabbrica quando non erano soddisfatti delle condizioni di lavoro o della paga ed andavano a cercare lavoro altrove. Non avevano altra scelta perché la repressione statale impediva qualsiasi organizzazione collettiva nei luoghi di lavoro. La confederazione sindacale ufficiale aveva la funzione primaria di evitare le lotte. Con la flessione della forza lavoro nelle zone costiere, l'invecchiamento della popolazione e le aumentate competenze dei lavoratori, le autorità e gli imprenditori hanno bisogno di stabilizzare una forza lavoro le cui domanda si fa sempre più ampia.

Sono i giovani migranti che hanno maggiormente beneficiato della nuova legge, probabilmente perché hanno accesso a più informazioni tramite Internet. Trovarli nelle lotte che hanno interessato le società giapponesi non desta sorpresa. Questi giovani sono più istruiti e vengono sempre più collocati in ruoli qualificati che richiedono maggiori competenze. Un mondo li separa dai loro genitori che sono rimasti in campagna. Quasi tutti figli unici, aspirano ad una vita dignitosa che è impossibile raggiungere nei grandi centri urbani con i loro salari. È per questo che le vittorie operaie di questi ultimi mesi avranno probabilmente conseguenze importanti sulla situazione sociale. Il governo sta scommettendo su salari più elevati per allentare le tensioni sociali. Ma non è improbabile che gli scioperi della primavera e dell'estate si allarghino a macchia d'olio.

Tanto più che durante uno degli episodi di sciopero più rimarchevoli nelle fabbriche Honda gli scioperanti hanno nettamente respinto l'intervento del sindacato ufficiale, "All Chinese Federation of Trade Unions" (Acftu), controllato dal Partito Comunista Cinese . I rappresentanti di questa confederazione sono stati ampiamente screditati dalla loro azioni violente contro i lavoratori in lotta, e si sono presentati come crumiri a fianco del management. In almeno tre impianti Honda, gli operai in sciopero hanno chiesto la riorganizzazione del sindacato e il diritto di eleggere i propri rappresentanti, lanciando così una sfida agli esponenti del AFCTU. Questi sedicenti "sindacalisti", al contrario, hanno sistematicamente preso la parte dei padroni e dimostrato di essere zelanti ausiliari della polizia. In queste circostanze particolarmente difficili, la capacità dei lavoratori Honda di auto-organizzarsi è stata un' impresa straordinaria e queste forme di auto-organizzazione hanno favorito lo sviluppo di una nuova coscienza di classe.

La proliferazione di conflitti si è sviluppata in campo economico, ma le autorità restano attente alla possibilità che tutto ciò possa trasformarsi in una contestazione politica generalizzata. L'esperienza degli scioperi nello stabilimento Honda mostra che sarà sempre più difficile in futuro per il governo controllare le lotte attraverso una centrale sindacale unica largamente screditata. Le nuove generazioni di lavoratori hanno dimostrato di essere pronte ad organizzarsi collettivamente e decise a rivendicare una parte tangibile dei risultati della crescita economica. La classe operaia cinese non è docile ed è stata in grado di mostrare la sua forza e la sua combattività.

È anche importante constatare che negli ultimi mesi, in Bangladesh, Vietnam e Cambogia, si sono verificate lotte simili per gli aumenti salariali. La povertà dunque non è una fatalità.




Note

1. Etude faite par Ms Chen, Bart van Ark de la Conference Board, et Harry Wu de Hitotsubashi University. In The Next China. The Economist.www.economist.com/research/a...

2. Jean Sanuk, « La Chine peut-elle sauver le capitalisme mondial ? », Inprecor n° 543/544 de novembre-décembre 2008.

3. Barta Patrick and Frangos Alex. Southeast Asia Tries to Link Up to Compete. The Wall Street Journal.

4. The Next China. The Economist. www.economist.com/research/a...

5. Becker Jeffrey and Elfstrom Manfred. International Labor Rights Forum. The Impact of China’s Labor Contract Law on Workers. Published by China Labor Net. http://www.laborrights.org/sites/de...