Livorno in... movimento

Articolo comparso sul sito nazionale di sinistra anticapitalista con il titolo

"Livorno, un’emblematica esperienza di autorganizzazione"


In questi mesi a Livorno abbiamo assistito ad alcuni fatti che in qualche modo hanno dato il segnale che qualcosa si stava muovendo dal punto di vista sociale.

La costante contrattazione al ribasso sia dal punto di vista normativo che salariale, l’uscita forzata di tantissimi lavoratori e lavoratrici (non sempre accompagnata con ammortizzatori sociali) senza che ci fossero nuove assunzioni ed investimenti, ha strutturato una inquietudine diffusa e già durante il congresso della CGIL il movimento delle RSU contro la Fornero, che doveva essere nell’ottica dei promotori dell’area di Lavoro e Società una manovra congressuale, tesa a differenziarsi dalla maggioranza dopo aver deciso di sostenere (sebbene emendandolo) il documento Camusso-Landini, a Livorno si è trasformata in un movimento reale, con caratteristiche di “massa”. Abbiamo assistito ad assemblee molto partecipate con centinaia di lavoratori e RSU da tutta la provincia.

Successivamente, con la fine del congresso della CGIL, l’area di Lavoro e società si è disgregata e i suoi dirigenti, una volta conquistate le posizioni all’interno dell’apparato, si sono estraniati da questo movimento che invece a Livorno ha continuato ancora per un periodo, sotto la spinta di giovani compagni non inclini ai giochetti interni alla confederazione.

Questi compagni, forti dell’esperienza e dei rapporti costruiti, hanno allora cercato di dare continuità a quel movimento, anche solo per non disperdere le forze fino ad allora accumulate.

La saldatura tra i compagni/e delle RSU contro la Fornero e alcuni lavoratori protagonisti in vertenze aziendali e settori legati al centro sociale livornese della “ex caserma”, ha portato al passaggio successivo che è stato il lancio del Coordinamento Lavoratori e Lavoratrici Livornesi.

Un coordinamento che nasce con la logica di intervenire a sostegno delle vertenze collettive ed individuali, di sollecitare la solidarietà; una sorta di “volante rossa” che cerca di essere presente fisicamente nelle situazione di crisi. L’obiettivo è semplice: non sostituirsi ai sindacati, ma unire i lavoratori e le lavoratrici che si trovano spesso isolati, informare, mettere in rete diverse esperienze come primo passo verso la ricostruzione di quel livello minimo di coscienza di classe oggi soffocata dall’abitudine alla delega.

Sono seguite due assemblee pubbliche molto partecipate (con centinaia di persone), presenze davanti a fabbriche che licenziano come la TRW, che vengono vendute come l’ENI di Stagno, che hanno vertenze aperte con alcuni lavoratori come alla Trelleborg, che privatizzano come la Porto 2000, che licenziano e riducono il salario come Cooplat, insomma una presenza solidale che ha portato a decine di presidi e che è culminata con la manifestazione di sabato 15 novembre con 3.000 persone in piazza.

Un corteo che ha visto una larga presenza di lavoratori/trici e di RSU della provincia e non solo (vedi RSU Piaggio), che è stato capace di attrarre l’attenzione della città, al punto che molti commercianti, su indicazione del Coordinamento, hanno abbassato le saracinesche al passaggio del corteo.

Il gruppo dirigente della CGIL, preoccupato di una dinamica di cui non aveva alcun controllo, aveva convocato, nei giorni precedenti, gli iscritti della CGIL attivi nel Coordinamento pensando di poterli “riportare nei ranghi”, ma la cosa non è andata secondo copione, vista la fermezza dimostrata da tutti/e i/le partecipanti/e a rivendicare l’importanza del lavoro svolto dal Coordinamento e la sua completa autonomia da forze politiche e sindacali.

Questo atteggiamento, insieme alle pressioni provenienti dalla base e da parte delle categorie, ha portato la CGIL non solo a non contrastare la manifestazione ma anche a sostenerla, sebbene con diffidenza.

. Al corteo abbiamo così visto la partecipazione anche delle segreterie sia della Camera del lavoro che delle categorie. Da segnalare, in questa “confusione”, anche la partecipazione del sindaco pentastellato, protagonista di una vertenza durissima che lo vede contrapposto ai lavoratori e alle lavoratrici della COOPLAT.

La logica del gruppo dirigente CGIL era in sostanza: sfogatevi pure che tanto poi alle trattative ci siamo noi! Voi protestate, ma noi abbiamo “le proposte”.

In questa situazione siamo arrivati allo “Sciopero Generale Provinciale” con lo slogan “Livorno non deve morire”, sciopero che CGIL-CISL-UIL hanno concepito come una passerella interclassita per chiedere aiuti economici e investimenti privati e pubblici sul territorio senza dire una parola sul Jobs Act, sulla riforma Fornero, sul rinnovo di contratti pubblici, sulle politiche antioperaie del governo Renzi.

Una impostazione già di per sé discutibile ma che ha rasentato la provocazione con l’invito del governatore Rossi ad intervenire dal palco, la reiterata ricerca (ottenuta) delle adesioni delle organizzazioni padronali, Confindustria in testa!

Giova qui ricordare che uno degli episodi culminanti di questanouvelle vague operaia a Livorno è stata l’occupazione della sede della Confindustria da parte delle maestranze della TRW.

In ogni caso alcune migliaia di persone, quindi una buona partecipazione, hanno dimostrato per le vie della città ed alla fine hanno contestato pesantemente il governatore Rossi che ha avuto anche la sfrontatezza di attaccare, dal palco della CGIL in cui era ospite, il segretario generale della Fiom Landini.

La dirigenza della CGIL si sta dimostrando incapace di concepire i cambiamenti che si sono manifestati fra i lavoratori e le lavoratrici livornesi, abituata com’era a fare da tramite con le istituzioni amiche nello spostamento dei problemi di occupazione e nella gestione degli ammortizzatori sociali, in un contesto sottoculturale che era caratterizzato, più che in altre situazioni, da una forte tendenza alla delega da parte di larghi strati di lavoratori.

Con l’acutizzarsi della crisi e la perdita dell’amministrazione comunale “amica” la classe dirigente CGIL s’è mostrata come smarrita, senza punti di riferimento; ed è anche questo all’origine del grosso errore di invitare il presidente Rossi: la presenza istituzionale infatti era congeniale ed indispensabile al progetto di “sviluppo” e “concorrenza territoriale” da anni portato avanti da costoro fino ad oggi, con tutti i danni conseguenti.

Ma i lavoratori e le lavoratrici stanno cominciando a realizzare che la strada giusta è la solidarietà fra i lavoratori/trici (anche a livello internazionale) e non la concorrenza. In qualche modo, ancora non ben delineato, si comincia inoltre a sospettare che buona parte dei problemi attuali della città potrebbero derivare proprio dal tipo di politica al ribasso sui diritti dei lavoratori e che ha comportato un inquinamento/consumo sempre più pesante del territorio.

La CGIL è in estrema difficoltà a Livorno, per stessa ammissione del segretario della Camera del Lavoro durante un direttivo regionale della confederazione: difficoltà che si è manifestata con chiarezza anche nel documento di indizione dello sciopero cittadino dove le soluzioni indicate coincidevano con le proposte presenti nel programma per le elezioni comunali del PD – come tutti sappiamo rifiutate dai cittadini di Livorno; difficoltà di chi si trova fra l’incudine ed il martello, dove l’incudine è la politica suicida della CGIL ed il martello sono le esigenze dei lavoratori che per la prima volta trovano una soggettività alternativa nel Coordinamento e non hanno alcuna intenzione di suicidarsi.

27 novembre 2014