LIVORNO: O PORTO TRADITORE

LIVORNO

I limiti del porto / Le soluzioni / La Piattaforma Europa / Il gigantismo navale / Il rapporto di OSC / Il nodo dei collegamenti / Le previsioni di crescita / I costi / La riforma delle portualità / Le ricadute occupazionali /L’impatto ambientale / I dragaggi / C’è un’alternativa?

Le elezioni regionali sono ormai passate da un pezzo così come gli inevitabili protagonismi dei suoi candidati.  É questo, allora, il momento migliore per riaprire una discussione sul Piano Regolatore Portuale (Prp) al riparo da qualsiasi interferenza e prima che esso incominci a dispiegare i suoi effetti. Tanto più che una discussione nel merito è stata finora assolutamente carente, non riuscendo a coinvolgere l’intera comunità cittadina nelle sue molteplici articolazioni sociali, politiche e istituzionali. E questo, nonostante la sua rilevanza per il porto e per l’intera città.

In primo luogo perché il porto e il suo interporto, con le molteplici attività che vi si svolgono, rappresentano sicuramente il settore economico più importante per la città, quello dal quale potrebbe venire una ripresa per l’intero tessuto economico cittadino, negli ultimi anni pesantemente martoriato dai processi di deindustrializzazione.

In secondo luogo, perché esso cambierà complessivamente l’assetto del porto e di una parte cospicua della città per lo meno per i prossimi 50 anni e più.

In terzo luogo, ed è questa la cosa che più ci preme, perché esso presenta aspetti contraddittori che devono trovare una soluzione ed apre una serie di interrogativi a cui è assolutamente indispensabile che vengano date risposte certe.

I limiti del porto

Quando nel Marzo scorso il Prp del porto di Livorno è stato approvato dal Consiglio Regionale come atto definitivo dell’iter di approvazione, il fatto è stato salutato come un “evento di portata storica”. E in effetti un Prp mancava dal lontano 1953, quando sostanzialmente si era trattato di ricostruire ciò che era stato distrutto dalla guerra. Poi, a parte un paio di Varianti Anticipatrici, non era stato fatto assolutamente niente.

Eppure, nonostante la favorevole posizione geografica e la presenza di estese aree retro portuali, il porto di Livorno presentava da lungo tempo diversi limiti che nel corso dei decenni ne hanno sicuramente rallentato la crescita e che più recentemente, con l’insorgere della crisi globale del 2007 – 2008, ne hanno condizionato la ripresa in tempi e ritmi molto più lenti di altri porti dell’area mediterranea.

Limiti di natura infrastrutturale, tecnologica, info strutturale, organizzativa e relazionale

In particolare risultano inadeguate/i:

- le dimensioni delle darsene e dei canali;

- le dimensioni delle superfici dei piazzali e dei terminal;

- i fondali dei canali d’accesso e delle aree di evoluzione sufficienti ad accogliere navi con pescaggi  di soli 11,60 m;

- i collegamenti tra aree portuali e retro portuali;

- il parco ferroviario;

- le connessioni infrastrutturali stradali e ferroviarie con colli di bottiglia sulle infrastrutture ferroviarie;

- le dotazioni delle info-strutture e dei servizi ad alta tecnologia.

A tutto ciò vanno poi aggiunti:

- gli attracchi petroliferi troppo vicini al centro città e con fasci di tubi che interferiscono con la rete stradale e ferroviaria;

- le difficoltà nei collegamenti e nella navigabilità interna al porto per la presenza di strettoie e tortuosità;

- la sovrapposizione di diversi tipi di traffico e l’irrazionalità nell’uso degli spazi portuali;

- la conflittualità tra il porto e la città a causa della promiscuità dei traffici commerciale e leggero su gomma, specie nei quartieri a nord della città;

- l’interferenza del Canale dei Navicelli con il Canale Scolmatore dell’Arno e  il conseguente deposito sui fondali del porto dei sedimenti trasportati da quest’ultimo che non trovano un adeguato sbocco a mare a causa dell’interramento della sua foce.

E qui sorge un primo interrogativo. Come mai negli anni e nei decenni passati non è stato fatto praticamente niente per affrontare, risolvere, o per lo meno ridurre la portata di tutti questi problemi? Gli ostacoli e le consuete lungaggini frapposte dalle burocrazie ministeriali che sicuramente ci sono state e che permangono ancora oggi, suonano però come delle deboli giustificazioni che non coprono minimamente le pesanti responsabilità delle passate gestioni del porto e del territorio di Livorno.

Le soluzioni

Il Prp cerca di dare una risposta ad ognuno di questi problemi avanzando varie proposte e diverse soluzioni.

1) Riorganizzazione funzionale del porto attraverso la specializzazione delle banchine in  funzione delle diverse tipologie merceologiche delle merci e dei traffici, una ridefinizione delle concessioni e la delocalizzazione nell’interporto delle attività industriali non strettamente collegate a quelle portuali, rafforzando anche in questo modo il carattere polivalente (multipourpose) del porto di Livorno.

2) Allargamento dell’accesso sud e delle darsene.

3) Dragaggio dell’accesso sud e dei fondali.

4) Consolidamento della 1ᵃ vasca di colmata.

5) Rifilamento e consolidamento delle banchine.

6) Spostamento della Darsena Petroli e dei tubi che interferiscono con le reti viarie ferroviarie.

7) Ripristino della funzionalità delle porte Vinciane sul Canale dei Navicelli per impedire l’interramento delle darsene e dragaggio della foce del Canale Scolmatore per renderlo navigabile fino all’autoporto il Faldo.

8) Riorganizzazione del sistema delle riparazioni navali per navi di media dimensione (30 m di larghezza massima) e per la produzione e riparazione delle imbarcazioni dadiporto con il ripristino della funzionalità e la compatibilità ambientale dei bacini di carenaggio (bacino grande e bacino galleggiante) lasciati negli ultimi anni colpevolmente nel totale degrado e resisi al contempo incompatibili con le attività del cantiere Benetti e con le funzioni residenziali e commerciali tipicamente urbane di una parte della Porta a Mare.

9) Adeguamento e potenziamento dello scalo ferroviario di Calambrone con l’ampliamento della rete ferroviaria elettrificata fino a banchina e l’eliminazione dei fasci di binari occupati dai carri vuoti.

10) Collegamenti diretti tra porto e aree retro portuali per una loro valorizzazione e lo sviluppo dei servizi logistici con la costruzione di uno scavalco della rete ferroviaria Tirrenica evitando così di dover passare obbligatoriamente dallo scalo del Calambrone.

11) Collegamenti diretti tra porto e interporto A. Vespucci e le reti ferroviarie (la Tirrenica e la Pisa – Firenze) tramite la realizzazione di due raccordi con la linea Pisa - Collesalvetti – Vada e con la Pisa – Firenze, evitando il nodo di Pisa e rendendo più rapido l’instradamento dei convogli (treni blocco) verso i corridoi europei (corridoio 1 Helsinki – La Valletta e quello Baltico – Adriatico) delle reti TEN-T (Trans – European Networks – Transport) attraverso il sistema degli interporti di Bologna, Padova e Verona e le piattaforme distributive dell’Europa centro – orientale fino alle aree di sviluppo e delocalizzazione dell’Est Europa.

12)  Atterraggio della SGC/FI-PI-LI fino alle nuove banchine.

13)  Completamento autostradale del corridoio tirrenico nel tratto tra Rosignano e Civitavecchia e il lotto zero tra il Maroccone e il Chioma della Variante Aurelia.

14) Ripristino del collegamento ferroviario tra la Stazione Marittima, la Stazione Centrale di Livorno e l’Aereoporto di Pisa.

15) Separazione dei traffici cittadini da quelli delle merci da e per il porto tramite la riorganizzazione della viabilità del ponte Orlando, di via S. Orlando, di via delle Cateratte e il raddoppio di via L. da Vinci.

16) Miglioramento della digitalizzazione dei servizi amministrativi e della telematizzazione delle procedure estendendo anche all’interporto il TPCS (Tuscan Port Community System) realizzando così la “Banchina Lunga”.

17) Rafforzamento e miglioramento delle connessioni intermodali con gli interporti e i corridoi TEN-T.

18) Riqualificazione delle aree portuali di interfaccia con la città per lo sviluppo del diporto e la crocieristica tramite il nuovo porto turistico e l’ampliamento del porto passeggeri.

19) Ristrutturazione e ampliamento del terminal passeggeri per far fronte alla crescita del traffico crocieristico con funzioni tipicamente urbane (commerciali, di servizio, direzionali, residenziali) per un recupero e una valorizzazione dei patrimoni storici (Fortezza Vecchia, Forte San Pietro, Dogana d’Acqua, Stazione San Marco, Mura Lorenesi, Canali della Venezia).

20) Creazione, all’interno della Fortezza Vecchia, del “Port Center”, il centro d’ informazione su tutte le attività portuali, ma anche di formazione di una nuova consapevolezza nella comunità cittadina come “comunità portuale”.

A tutto ciò andrebbe sicuramente aggiunto il completamento dell’interporto A. Vespucci, realizzato, nonostante il suo valore  strategico per lo sviluppo del porto di Livorno, solo al 60%. Il suo definitivo completamento servirebbe oltretutto a scongiurare la sciagurata possibilità che i soci di maggioranza (Monte dei Paschi e Regione Toscana) possano decidere di vendere le loro quote e che, di conseguenza,  possano subentrarne altri più interessati a fare guadagni con operazioni sostanzialmente immobiliari sulle aree piuttosto che a realizzare l’interporto che, oltre a svolgere la funzione di retro porto dello scalo livornese, potrebbe anche attrarre attività industriali legate alle attività portuali

Per molte delle soluzioni proposte si potrebbe francamente dire: era l’ora!.

Diversi interventi, finanziati direttamente dall’Autorità Portuale (A.P.) o con il contributo della Regione Toscana e delle FdS., sono già iniziati e attualmente in corso d’opera. Per altri si sta provvedendo alla pubblicazione dei bandi di gara, ma di altri non si conoscono ancora le fonti dei possibili finanziamenti, non esistendo al riguardo un piano finanziario dettagliato pari a quello presentato per la realizzazione della Darsena Europa.

Chi finanzierà, per esempio, i lavori per il ripristino e l’adeguamento dei bacini di carenaggio per una spesa stimata di 20 Milioni di Euro? Il vincitore del bando di concessione? E in che modo? In project financing?

É chiaro, invece, che il  finanziatore della ristrutturazione e dell’ampliamento del terminal passeggeri sarà l’acquirente della quota che l’A.P detiene nella Porto 2000., che a norma di legge non può più detenere, e  che ostinatamente vuole sia acquistata da un soggetto privato con una provata capacità imprenditoriale nel settore crocieristico e una documentata solidità finanziaria, proprio per coprire gli investimenti necessari alla realizzazione della nuova Stazione Marittima.

Ma ciò che più ci preoccupa è proprio il punto riguardante la ristrutturazione e l’ampliamento del terminal passeggeri le cui linee generali sono state definite con l’approvazione, nel Marzo scorso, di una Variante Anticipatrice al Piano Regolatore Generale (PRG).

Adottata dalla precedente Amministrazione e approvata in Consiglio Comunale da una strana maggioranza costituita da buona parte delle opposizioni, anticipa dei cambiamenti al PRG vigente in suo totale contrasto e assolutamente non essenziali per lo sviluppo commerciale e industriale del porto.

Otre tutto essa prevede il trasferimento dal Comune all’A.P della competenza su tutta la fascia costiera compresa tra lo Scoglio della Regina e la Stazione Marittima, passando per la Porta a Mare, il Porto Mediceo e la Fortezza Vecchia,.

In questo modo, un pezzo della città, in particolare quello antistante il porto vero e proprio, viene sottratto all’autorità del Comune, diventa territorio demaniale e viene conferito all’Autorità portuale che é di nomina ministeriale.

E con ciò cambiano anche le destinazioni d’uso che passano dal “Sistema Insediativo” al “Sistema Portuale e delle Attività”, con il risultato di stravolgere completamente il Piano Strutturale (P.S.) e produrre un aumento dei volumi totali che possono essere edificati ” con funzioni tipicamente urbane (commerciali, di servizio, direzionali, residenziali), “così come recita il Prp.

In sostanza, il rischio è che dietro al giusto obbiettivo di dotarsi di una più accogliente, adeguata ed efficiente Stazione Marittima, ci possa essere anche l’intenzione di ripetere nella Nuova Stazione Marittima, che ingloba anche la Fortezza Vecchia, la fallimentare operazione speculativo – immobiliare già realizzata alla Porta a Mare.

Il fatto, poi, che si voglia cogliere l’occasione per realizzare una più ampia operazione di “recupero e valorizzazione dei patrimoni storici (Fortezza Vecchia, Forte San Pietro, Dogana d’Acqua, Stazione San Marco, Mura Lorenesi, Canali della Venezia)” suona oltremodo ridicolo, dal momento che non si fa alcuna menzione della necessità di trasferire quell’assoluta mostruosità costituita dall’impianto del depuratore del Rivellino in pieno centro storico. Ma per questo attendiamo di vedere cosa proporrà il nuovo Piano Strutturale.

La Piattaforma Europa

Ma il centro di gravità del Prp è indiscutibilmente costituito dal progetto della Piattaforma Europa che, nell’ipotesi della Modimar e degli altri enti e società che hanno collaborato con l’A.P., configura un consistente ampliamento a mare del porto di Livorno per circa 5 – 6 Km² tramite una vera e propria “Grande Opera” con 5 Km di nuove banchine, 2 Milioni di m² di piazzali, fondali a 16m e una nuova imboccatura per accogliere le nuove grandi navi.

Un’opera a dir poco faraonica costituta da:

1) una nuova grande darsena larga almeno 300 m con fondali a 16 m;

2) due grandi banchine che inglobano le due vasche di colmata e sono accostate al lato ovest del Terminal Darsena Toscana, larghe 350 – 400 m, lunghe 1100 – 1200 m e inclinate verso sud-ovest; la prima, a nord, adibita ai traffici dei rotabili (autostrade del  mare), e la seconda, a sud, per il traffico dei containers e i feeder;

3) una diga foranea a protezione lunga più di 2 Km, dalla foce dello Scolmatore verso sud  - ovest;

4) una nuova diga della Meloria con diversa curvatura verso nord – ovest,

5) un nuovo canale d’accesso largo 300 m e lungo 4,6 Km verso sud – ovest con fondali  a 17 – 20 m;

6) un’imboccatura di accesso larga minimo 300 m;

7) un cerchio di evoluzione di 465 – 700 m di diametro e fondali di 17 m;

8) una nuova darsena petroli accostata all’estremità ovest del lato sud della nuova diga foranea;

9) una nuova darsena fluviale accostata al lato nord della nuova diga foranea in  prossimità della foce del Canale Scolmatore;

10) fasci di binari fin sopra le due nuove banchine con collegamenti diretti con la linea tirrenica e con la Pisa – Firenze.

L’obbiettivo è fare del porto di Livorno un porto “Gateway” che guarda ai mercati del nord -est italiano e del centro-nord Europa e non solo a quelli regionali tramite il consolidamento del  suo carattere polivalente (multipourpose), l’incremento dei traffici su rotabili (Ro – Ro e Ro – Pax) in cui il porto di Livorno è già forte, ma soprattutto aumentando il traffico dei containers, intercettando le nuove grandi navi porta containers (PC) capaci di trasportare fino a 10.000 TEUs (twenty-foot equivalent unit).

Perché per l’A.P. la crescita può venire solo da un’adeguata dotazione infrastrutturale, da migliori relazioni internazionali, ma soprattutto da un adeguamento del porto per renderlo capace di accogliere le navi di nuova generazione.

Dal raggiungimento di questo ultimo obbiettivo dipenderebbero le prospettive e lo stesso futuro del porto di Livorno. O la sua crescita, o la sua riduzione ad un ruolo marginale nel contesto dei porti dell’area mediterranea e il suo conseguente declassamento.

Il gigantismo navale

L’intero progetto si regge, infatti, su un dato che ad un primo esame appare come un’evidenza: le nuove navi PC che vengono progettate e costruite sono sempre più grandi e questa tendenza sembra inarrestabile.

In effetti la tendenza alla crescita delle dimensioni delle navi PC si è manifestata fin dalla nascita dei containers. Ma negli ultimi anni, e specialmente nella fase espansiva precedente la crisi globale del 2007 – 2008, essa ha assunto ritmi sempre più sostenuti.

Allettate dalla prospettiva di poter realizzare lauti guadagni, ma obbligate al contempo a ridurre i costi, le grandi Compagnie hanno iniziato a ordinare navi sempre più grandi ai cantieri indiani e cinesi che le producono a costi sempre più bassi.

Paradossalmente, essa è continuata, se pur con un leggero rallentamento, anche durante le crisi globale. E ciò ha fatto sospettare diversi analisti del suo carattere, in buona parte, speculativo e finanziario.

Le nuove maxi navi richiedono porti, interporti, banchine, darsene, gru sempre più grandi e fondali sempre più profondi. E tutto ciò comporta una crescente difficoltà di adeguamento infrastrutturale dei porti e dell’intera rete logistica, sempre più in affanno nello smaltimento e instradamento dei containers verso i mercati di riferimento.

I porti e i nodi logistici, nonostante i grandi investimenti infrastrutturali effettuati, da una parte rischiano di risultare sempre e comunque inadeguati ad accogliere navi che accrescono sempre più le loro dimensioni – se ne stanno progettando addirittura da 22.000 TEUs – e dall’altra si ingolfano, non riescono a smaltire tutto il loro carico mentre i containers restano sui piazzali.

In realtà, per avere un’idea, la più precisa possibile, delle dimensioni del fenomeno di cui stiamo parlando, dobbiamo tenere comunque presente che le mega PC rappresentano una piccola parte, poco più del 20%, dell’intera flottiglia mondiale di PC, che per circa l’80% resta ancora costituita da navi da 6000 TEUs che richiedono fondali a 13 m.

Non va sottovalutato inoltre il fatto che la corsa al gigantismo navale ha fin dall’inizio  manifestato diverse criticità.

Le grandi navi non offrono grandi economie di scala, tanto è vero che a fine 2011, con il calo dei traffici e l’aumento delle perdite, diversi armatori si sono consorziati in quattro grandi gruppi per far navigare le grandi navi a pieno carico, e ridurre così i costi. Cosa che non ha interrotto però la costante riduzione dei ricavi di tutte le Compagnie in coseguenza dell’eccesso di offerta di stiva e dell’inevitabile svalutazione dei noli d’imbarco determinatesi proprio con l’utilizzo delle grandi navi.

Inoltre, a seguito della crisi, per varie ragioni legate in parte all’evoluzione dei costi del petrolio e dello shipping, si è andato profilando un nuovo scenario  che può essere definito come la regionalizzazione della globalizzazione. In sostanza i traffici marittimi si svolgono in prevalenza all’interno di macro-regioni (Far East, America del nord e del sud, Euro – Med) con una diversificazione tra traffici all’interno delle macro-regioni e traffici mondiali tra diverse macro-regioni. I traffici mondiali sono dominati da materie prime e beni di consumo e sono rivolti a porti di trasbordo (transhipment) (pochi porti HUB, enormi e altamente tecnologici), mentre i traffici all’interno delle macro-regioni sono rivolti ai porti regionali con un legame più forte tra la filiera produttiva e quella logistica.

In altre parole, stiamo assistendo ad un ridimensionamento del modello di crescita exsport – oriented, caratterizzato da un aumento indefinito della distanza tra luoghi di produzione e di consumo.

Questa profonda revisione della qualità e quantità dei flussi logistici globali sta determinando una razionalizzazione, selezione e specializzazione dei nodi portuali.

In questo quadro il sistema marittimo portuale europeo e italiano che è inscindibilmente legato all’evoluzione della macro-regione euro-mediterranea, negli ultimi anni ha assistito, da una parte, ad un progressivo spostamento dei baricentri di produzione e consumo verso est e ad una polarizzazione dei traffici verso pochi porti HUB, e dall’altra, a una duplice concorrenza tra i porti di transhipment, per i traffici mondiali, e tra i porti regionali per i traffici regionali interni alla macro-regione mediterranea.

Riguardo alla macro-regione euro-mediterranea va tenuto anche di conto che i traffici con il nord-Africa ammontano a solo l’1,6% del totale; che lungo il corridoio est-ovest del mediterraneo centrale tra le regioni meridionali della Spagna e i paesi balcanici di nuova adesione alla Comunità Europea i traffici containerizzati non sono i traffici di riferimento poiché sono irrilevanti nelle aree coinvolte dal corridoio, organizzato in porti HUB e Spoke (mozzo e raggi della ruota) e con diverse rotture di carico (mare, terra, mare, terra), mentre lo sono certamente i traffici Ro.Ro e le navi miste nei settori dell’agroalimentare, del fresco, dell’automotive, del tessile e dell’edilizia.

A tutto ciò vanno aggiunti alcuni significativi dati sui traffici dei containers tra l’Europa e le altre macro-regioni del mondo.

Oggi il traffico tra Far-East e Europa ammonta a 18 Milioni di TEUs annui, quello Trans – Pacifico è pari a 20 Milioni di TEUs, mentre quello Transatlantico tra America ed Europa è di soli 4,4 Milioni di TEUs.

Di tutto questo traffico solo il 28% arriva ai porti meridionali del Mediterraneo, mentre il 72% preferisce i porti del nord Europa più vicini ai mercati dell’Est e dove può trovare maggiore efficienza e soprattutto reti ferroviarie veloci e meno costose. E tutto ciò potrà accentuarsi ulteriormente in conseguenza dell’allargamento del Canale di Panama e dell’apertura della rotta Artica resa sempre più praticabile dal restringimento della banchisa per effetto del riscaldamento globale e dei conseguenti cambiamenti climatici.

In questo quadro la macro – regione mediterranea in generale e la portualità italiana in particolare corrono il rischio che le rotte si stabilizzino definitivamente nei porti del Northern Range e di vivere di conseguenza un declino strutturale, non congiunturale, accentuato ancora di più dagli sconvolgimenti socio-politici in atto in tutto il nord-Africa e nel Medio-Oriente e dal consistente calo della crescita del gigante cinese.

Tutte considerazioni che avrebbero dovuto indurre a una certa cautela prima di decidere di entrare a gamba tesa nel campionato delle maxi-navi.

Eppure queste stesse considerazioni le abbiamo trovate proprio nel Piano Operativo Triennale (POT) 2013 – 2015  redatto anch’esso dall’A.P. successivamente alla stesura del Prp. Documento non solo operativo, ma anche di riflessione e di analisi condotte, non a caso, nel momento di massima crisi per il porto di Livorno.

Il POT, infatti, pur lasciando in piedi l’impianto complessivo del Prp con al centro il progetto della Piattaforma Europa, nel quadro di un’analisi e di una riflessione sui flussi strategici, giunge inaspettatamente a una conclusione assolutamente sorprendente con le seguenti parole:

comunque sia il futuro della portualità  non sarà dominato da una distinzione netta tra porti “Gateway” per la macro – regione, dove dominano il transhipment e il trasporto contaneirizzato, e porti che operano all’interno della macro-regione. Ci sono e ci saranno traffici marittimi significativi con caratteristiche merceologiche e trasportistiche peculiari e tali da rendere sostenibile e preferibile il trasporto tra porti appartenenti a macro – regioni diverse. Basta saper riconoscere ciò che è evidente, e cioè “che non si vive di soli containers”. Ciò spinge a riconoscere che l’impostazione polivalente (multipourpouse) con un forte legame tra il nodo portuale e il sistema economico di riferimento che ha da sempre caratterizzato lo scalo labronico continua ad essere la più valida e attuale“.

Affermazioni indubbiamente forti poiché tutti conoscono l’importanza e il valore dei traffici containerizzati, ma che servono a richiamare l’attenzione sulla sostenibilità anche di un’altro orizzonte di crescita per il porto di Livorno, non esclusivamente legato al traffico dei contenitori.

Il rapporto di OSC

Considerazioni che invece scompaiono totalmente nel rapporto redatto dall’Ocean Schipping Consultants (OSC), l’agenzia inglese di consulenza strategica internazionale a cui l’A.P. si è rivolta per avere una valutazione sul Prp.

Al rapporto si è aggiunto il Piano Economico Finanziario per la realizzazione della Piattaforma Europa elaborato insieme a D’Appolonia [Società che fornisce servizi integrati di ingegneria legata al RINA(Registro Italiano Navale)] a cui seguiranno uno scouting presso i potenziali investitori internazionali e un supporto  nelle presentazioni sulle piazze finanziarie internazionali. Il tutto per un costo per l’A.P. che si aggirerà sicuramente attorno ai 700.000 €.

A dire il vero, nel rapporto dell’OSC, delle considerazioni critiche ci sono, ma tutte nella direzione di un’accentuazione ulteriore degli elementi centrali del Prp: espansione a mare del porto e escavazione dei fondali.

Per l’OSC va, infatti, benissimo l’espansione a mare del porto di Livorno attraverso il progetto della Piattaforma Europa, ma i fondali a 16 m non sono sufficienti ad accogliere le nuove grandi navi. Servono, invece, fondali a 18 m per accogliere quelle da 18.000 TEUs. O per lo meno, vanno fatte oggi le fondamenta delle nuove banchine a 18 m per portare, in un secondo momento, i fondali a 18 m. Ne consegue, ovviamente, un  aumento dei costi per ulteriori 150 Milioni di € e 2,5 Milioni di m³ di sedimenti in più da ricollocare. E in questo scenario non ci sono alternative possibili, ma solo una crescente drammatizzazione delle prospettive future. O si fa così, e allora il porto di Livorno può crescere, oppure, se invece “non si fa niente”, esso è destinato a morire in breve tempo.

Il nodo dei collegamenti

In realtà, se da una parte è certamente vero che l’evoluzione delle flotte costringe i porti ad un faticoso adeguamento infrastrutturale, dall’altra, non è affatto vero che le navi vadano alla ricerca di fondali sempre più profondi. Ciò che cercano le navi sono i mercati. Fondamentali sono quindi i legami che si riescono a stabilire tra i nodi portuali e i sistemi economici di riferimento. Per questo non basta guardare solo verso il mare, ma è necessario guardare anche dal lato terra. 

Non basta, infatti, avere un porto efficiente, adeguato da un punto di vista infrastrutturale, e tecnologicamente avanzato, un interporto ben inserito nel sistema logistico. Servono soprattutto collegamenti rapidi, efficienti e poco costosi con tutta la rete logistica nazionale. Serve, cioè, una rete infrastrutturale viaria e ferroviaria che colleghi tutta la catena logistica.

 Ben venga allora il collegamento diretto con la linea Tirrenica e con la Pisa-Firenze, ma non è sufficiente quando è l’intera rete ferroviaria che soffre di una generale inadeguatezza, specie per ciò che riguarda il trasporto merci.

 Ben 9167 Km della rete nazionale sono, infatti, ad un solo binario, 4783 Km non sono neppure elettrificati, e poi nodi ingolfati e colli di bottiglia ovunque.

Purtroppo, in assenza di un Piano Nazionale dei trasporti, nei decenni passati, non si è provveduto ad un generale adeguamento della rete e si è  invece scelto di puntare tutto sul trasporto merci su gomma per favorire l’industria nazionale dell’automotive e quella del cemento, mentre, più recentemente, si è investito solo sull’Alta Velocità.

L’esatto contrario di quanto hanno fatto i paesi del nord Europa quando hanno progettato l’espansione dei propri porti quadruplicando, prima di tutto, le proprie linee ferroviarie.

 Certo, data la morfologia del territorio italiano, prevalentemente montagnoso, fare altrettanto produrrebbe sicuramente un impatto ambientale assolutamente devastante e insostenibile, ma le carenze più macroscopiche, dove è possibile e nel rispetto della salute e della volontà delle popolazioni del territorio, possono e debbono essere superate quanto prima poiché costituiscono, insieme agli alti costi dell’energia e dei carburanti, tra i più consistenti gap di competitività del “sistema Italia”. Altro che costo del lavoro, come per anni ci hanno fatto credere. Costo del lavoro che è in realtà tra i più bassi di tutta l’Europa.

Teniamo di conto inoltre che queste strozzature sono spesso risolvibili, più che con “grandi opere” altamente distruttive per i territori oltre che predatorie e criminogene come la TAV in Val di Susa, con piccoli interventi sostenibili e non impattanti per l’ambiente.

Per il porto di Livorno ci sono diverse criticità nei collegamenti viari e ferroviari:

- La Variante Aurelia, interrotta tra il Maroccone e il Chioma e tra Rosignano e Civitavecchia è inadeguata a sostenere il traffico merci;

- Sulla Tirrenica verso nord il nodo di Pisa è congestionato (270 treni giornalieri);

- La connessione verso nord-ovest  con la Pontremolese è inutilizzabile per i tratti a un solo binario e in salita;

- La dorsale appenninica Prato-Bologna è congestionata e vedrà alleggerito il proprio traffico solo con il completamento della linea ad Alta Capacità Firenze-Bologna;

- Collo di bottiglia sulla Pisa-Firenze nel tratto Empoli-Bivio Olmatello che sarà eliminato  con il completamento del quadruplicamento dello stesso tratto e con la variante Olmatello Castello per i treni diretti a nord;

- A un solo binario e non elettrificata la Prato-Viareggio.

Ma la criticità di gran lunga maggiore è costituita dal grado di saturazione che raggiunge il 75% e oltre anche nelle ore notturne su tutte le linee dell’intera rete.

Ovviamente il Prp non poteva non tenerne conto, tanto è vero che nel quadro delle previsioni di crescita dei traffici da e per il porto di Livorno da qui al 2040 assegna al trasporto su rotaia una crescita fino al 30% del totale dei traffici, dai 2 treni blocco giornalieri attuali ai 20 treni blocco giornalieri. Per il trasporto su gomma si prevede invece una piccola diminuzione in percentuale fino al 60% del totale, ma con una forte crescita in termini assoluti, dai 650 attuali ai 2795 veicoli giornalieri in entrata e uscita dal porto. Il restante 10% è assegnato al trasporto fluviale lungo il Canale dei navicelli.

Una prospettiva per niente allettante, poiché, qualora si realizzasse, avrebbe un impatto assolutamente devastante per la qualità dell’aria e la salute dei cittadini, specie dei quartieri a nord della città.

Questo è l’elemento decisivo di tutta la partita, non i fondali.

Non è un caso se l’OSC, partendo da un’analisi dei costi dei trasporti a Km, giunga alla conclusione, stavolta non del tutto a torto, che altri sono i porti che per posizione geografica più favorevole  possono con maggior successo gestire i flussi delle merci all’interno del paese. In questo senso, sono i porti del nord Adriatico, ed in particolare quello di Trieste, che hanno maggiori possibilità di successo nel raggiungere i mercati del nord e dell’est Europa, proprio perché hanno dei costi dei trasporti notevolmente inferiori.

Di conseguenza, per l’OSC, non conviene puntare a raggiungere la rete logistica dislocata lungo il corridoio 1 (Helsinki – La Valletta) come propone il Prp. Meglio cercare di catturare un 17-20% di trasbordo (transhipment), nonostante esso sia già presente in alcuni porti specializzati del centro e basso Tirreno (Cagliari, Gioia Tauro, Taranto), senza contare Barcellona, e richieda enormi spazi retro portuali.

È chiaro che la scelta dei mercati da raggiungere e dei flussi da intercettare è una questione cruciale, poichéc’è il rischio molto concreto di spendere centinaia di milioni di Euro, se non miliardi, per poi ritrovarsi un porto con una bassa redditività.

Le previsioni di crescita

Di conseguenza, altrettanto cruciali sono le previsioni di crescita dei flussi di traffico, tanto da costituire il secondo elemento centrale, assieme a quello delle mega navi, su cui si fonda l’intero impianto del Prp.

In genere vengono presi in considerazione, in un arco di tempo definito, i tre classici scenari; quello alto, corrispondente a una fase economica espansiva, quello basso, corrispondente a una fase economica recessiva, e quello mediano, che prudentemente viene di solito scelto come il più probabile.

Nel rapporto dell’OSC, ma anche nel Prp che ne aveva già accolto i dati, partendo dall’assunto che i traffici mondiali, e in particolare i traffici dei containers  crescono di 2,5 volte per ogni punto di PIL mondiale, si prevede che tutti e tre gli scenari siano di crescita.

Da qui al 2020, su scala mondiale dovremmo perciò avere 1147 Milioni di TEUs (+ 8,56% annuo) nello scenario ottimistico, 932 Milioni di TEUs (+ 6,54% annuo) nello scenario pessimistico e +7,8% annuo nello scenario intermedio.

Sempre secondo queste previsioni, da qui al 2040, il traffico dei containers per Livorno, dovrebbe aumentare dagli attuali 600.000 TEUs annui ai 3 Milioni di TEUs annui con un tasso medio di crescita costante del 5,4%.

In sostanza i flussi di traffico crescono sempre e comunque anche in recessione prolungata.

Va detto subito che previsioni di questo genere sono assolutamente inverosimili e inattendibili. Tanto che c’è chi, giustamente, le ha paragonate ad un atto di fede. Chiunque, infatti, ha potuto constatare che durante la crisi del 2009 i traffici nel porto di Livorno, non solo non sono cresciuti, ma sono complessivamente calati del 24%, e che ancora oggi, nonostante una leggera ripresa,  non sono stati recuperati i valori raggiunti nel 2003 – 2004.

Del resto, lo stesso è successo a tutti i porti del Mediterraneo. Tutti  hanno registrato forti cali non ancora del tutto recuperati, ad eccezione di Barcellona, ma solo nel trasbordo (transhipment).

Altrettanto inattendibile ci sembra una previsione che si dispiega su un arco di tempo così lungo – da qui al 2040.

Anche noi ci sforziamo di guardare lontano, ma più che crescite lineari, vediamo una lunga stagnazione interrotta qua e la da piccole e stentate riprese che non cambiano il segno del ciclo economico più lungo. Tanto che è lo stesso FMI ad interrogarsi sulla cosiddetta “stagnazione centenaria” e sulla caduta mondiale della produttività.

Eppure, anche su questa materia, ci era sembrato che nel POT si fosse addivenuti ad una riflessione di tutt’altro segno, tanto da affermare che: “va prima di tutto messa in discussione l’idea che ad un aumento del PIL mondiale corrisponda un analogo o addirittura più che proporzionale sviluppo dei flussi del commercio mondiale. Idea che si era imposta a seguito del tumultuoso sviluppo del Far East. Oggi questa idea non è più possibile darla per scontata con tutte le conseguenze che ne derivano per la programmazione dell’infrastrutturazione dei porti”.

I costi

Direttamente legato alle previsioni di crescita c’è ovviamente quello dei costi. L’insufficienza dei finanziamenti pubblici, infatti, renderà necessario ricorrere agli investitori privati. Del resto il Governo si è impegnato per la misera cifra di 50 Milioni di Euro per un’opera che, qualora venisse realizzata completamente, costerebbe più di 1 Miliardo di Euro.

Proprio per questo l’A.P ha previsto la realizzazione di una prima fase del progetto della Piattaforma Europa, rinviando ad una seconda fase il suo completamento.

La prima fase prevede:

- la costruzione di un solo grande terminal, quello a sud per il traffico dei containers e il feeder, dotato di tutti gli impianti e di un nuovo fascio ferroviario per comporre i treni blocco da 750 m direttamente in banchina;

- il completamento delle vasche di colmata;

- la costruzione della diga foranea a protezione, ma più corta rispetto al progetto originario; – il salpamento di una parte della diga del Marzocco e la ricostruzione a cassoni della parte restante;

- la nuova diga della Meloria;

- la darsena fluviale alla foce dello Scolmatore;

- la vasca per contenere parte dei sedimenti dei dragaggi, grande quanto il terminal nord della Piattaforma Europa da completare nella seconda fase;

- i dragaggi della nuova darsena, del canale di accesso e del cerchio di evoluzione a 16 m.

Il Piano Finanziario elaborato da D’Appolonia, comprensivo, oltre che dei lavori,  anche delle dotazioni delle banchine (gru e mezzi di movimentazione a terra), ammonta a 805.140.000 €, di cui 300.680.000 € a carico della parte pubblica, e 504.460.000 € a carico del privato in project financing.

Per assicurare il ritorno dell’investimento privato, considerando un Tasso Interno di Rendimento (TIR) pari al 7,79% e ricavi attesi che dovrebbero passare dai 13 Milioni di Euro nel 2021 ai 167 Milioni di Euro nel 2025 fino ai 176 Milioni di Euro annui dal 2025 al 2065, la concessione dovrebbe durare 50 anni. Purché, ovviamente, le previsioni di crescita vengano puntualmente confermate nei fatti. Altrimenti, per assicurare comunque la redditività, dovrà sicuramente intervenire la finanza pubblica, così come è successo, ad esempio, per il rigassificatore.

La riforma delle portualità

Una cosa è certa; tra la vendita delle quote della Porto 2000, la concessione in gestione dei bacini di carenaggio e le partecipazioni in project financing, il panorama che ne esce è di un porto sempre più in mano ai privati che non mancheranno sicuramente di far valere i propri interessi a scapito di una parte pubblica sempre più deprivata dei propri poteri d’indirizzo.

Un ruolo pubblico che lo stesso Governo Renzi, dietro al tentativo di porre un freno al “municipalismo portuale”, sta cercando di ridurre attraverso una riforma delle portualità che prevede non solo un intervento sulle Autorità Portuali e sul demanio, ma anche la cancellazione di tutte le norme che hanno finora regolano il lavoro portuale, con effetti assolutamente destabilizzanti sulla qualità del lavoro (precarizzazione e minore professionalità), sulla sicurezza e sui redditi.

Ciò non significa che il problema del “Municipalismo portuale” non esista. Esiste eccome! Ogni porto si pone, infatti, irrazionalmente in concorrenza con tutti gli altri. Ogni porto cerca di fare prima degli altri ciò che tutti intendono fare. Tutti con gli stessi obbiettivi e le medesime scelte politiche (nuovi terminal, fondali più profondi). E tutto senza alcun controllo.

Con il risultato di mettere in cantiere lavori per un costo di 15,6 Miliardi di Euro. Lavori che, qualora venissero tutti portati a compimento, produrrebbero un surplus di capacità di banchina con inevitabili ricadute negative sulla redditività dei singoli porti che, in ultima analisi, si scaricherebbero sui livelli salariali e le condizioni di sicurezza di chi ci lavora.

Certamente, affidandosi totalmente al mercato e alla concorrenza, alla lunga si produrrà una selezione e una specializzazione tra i vari porti, ma a quali costi in termini di consumo di risorse e di devastazione dell’ambiente?

Sicuramente il coordinamento con il porto di Massa Carrara e di Piombino è una cosa positiva che va nella giusta direzione. Ma da una situazione così irrazionale non se ne esce, così come pensa di  fare il Governo, con l’accorpamento delle Autorità Portuali, che ha fatto rischiare al porto di Livorno di essere privata della propria A.P. e accorpato al porto di Civitavecchia.

Se ne esce invece impostando un Piano Nazionale dei Porti e della Logistica che non si limiti a proporre un indirizzo generale come fa quello appena licenziato, ma che si ponga l’ambizioso compito di pianificare le scelte d’investimento, le specializzazioni, le aree di operatività, gli obbiettivi di sviluppo di ogni singolo porto in una visione strategica d’insieme.

Le ricadute occupazionali

Se è mancata una discussione approfondita sul Prp, non sono mancate, invece, l’attenzione e le aspettative per le sue possibili ricadute occupazionali, specialmente da quando le organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL hanno inserito, a nostro parere in modo del tutto acritico, il Prp e il progetto della Piattaforma Europa che ne costituisce il suo centro di gravità, all’interno della “Vertenza Livorno” –  la nuova proposta sindacale di progettualità strategica tesa a rilanciare l’economia dell’intero territorio livornese.

Una “vertenza”, che come tutte le vertenze di questo tipo non ha alcun carattere di vertenzialità, non essendo concepita per costruire una lotta e una mobilitazione dei lavoratori, dei  precari e dei disoccupati su obbiettivi concreti da conquistare (opposizione al Jobs Act, difesa dei salari, riduzione d’orario a parità di paga, ecc). Ma come forma di generica pressione sulle Istituzioni per ottenere dalle stesse promesse o impegni, quasi mai vincolanti, nella direzione delle richieste avanzate dalle stesse Direzioni  Sindacali che in questo modo si rilegittimano, agli occhi dei lavoratori, ma anche e soprattutto, agli occhi di quelli che dovrebbero rappresentare le proprie controparti.

In merito alle ricadute occupazionali della realizzazione della Piattaforma Europa è difficile fare delle previsioni. Una cosa è certa: per come è oggi organizzato il lavoro nei porti le attività portuali in senso stretto non portano moltissima occupazione.

Forse si potrebbero avere alcune centinaia di lavoratori in più nelle attività terminalistiche vere e proprie. A queste vanno poi aggiunte tutte le attività ausiliarie dei trasporti (case di spedizione, agenzie marittime, spedizionieri doganali, imprese fornitrici di servizi e operazioni portuali). Allo stato attuale sono 18.400 (fonte Camera di Commercio) i lavoratori che orbitano intorno alle banchine del porto.

Con una previsione di crescita del solo traffico contaneirizzato fino a 1,5 Milioni di TEUs alla scadenza del 2030, la realizzazione della Piattaforma Europa potrebbe portare ad un aumento dell’occupazione terminalistica dai 300 attuali agli 800 addetti, mentre quella relativa a tutte le altre attività collegate potrebbe arrivare fino a 1100 addetti dalle 700 attuali, per un totale di 1900 addetti.

Ovviamente nessuno ci sputa sopra, ma siamo purtroppo drammaticamente lontani dai 20.000 posti di lavoro persi negli ultimi anni nel territorio livornese e dai circa 60.000 disoccupati della Provincia di Livorno, senza tener conto di chi, sfiduciato, il lavoro non lo cerca più.

Sicuramente un incremento ancora maggiore potrebbe venire, non tanto dall’aumento dei traffici portuali, ma dal determinarsi nel retro-porto di condizioni favorevoli per l’insediamento di tutte quelle attività industriali le cui produzioni hanno un forte e  diretto legame con le attività portuali.

I tempi per la realizzazione di tutto ciò non sono però brevi e sicuramente non rispondono all’urgenza di creare il prima possibile nuovi posti di lavoro per tutti quelli che negli ultimi anni lo hanno perduto.Se non ci saranno intoppi, infatti,  i lavori dovrebbero iniziare nel 2017 e terminare nel 2020, per avere l’intera struttura a regime nel 2035.

Al riguardo viene inevitabilmente da pensate che qualora si fosse voluto davvero dare un lavoro a centinaia di migliaia di giovani che altrimenti non lo avranno mai, le Organizzazioni Sindacali, avrebbero sicuramente fatto meglio a organizzare una decisa battaglia nazionale per l’abolizione della Legge Fornero, che allungando i tempi di permanenza al lavoro prima di poter andare in pensione, ha tolto ogni prospettiva lavorativa ad un intera generazione.

L’impatto ambientale

Un’opera così grande come la Piattaforma Europa non può non avere un impatto sull’ambiente circostante.

Gli effetti maggiori si avranno in conseguenza dell’aumento delle emissioni in atmosfera prodotte dalla crescita del traffico navale e del traffico su gomma, sia per il trasporto dei materiali necessari alla sua costruzione, sia per il trasporto delle merci in ingresso e in uscita dal porto. A queste vanno poi aggiunte anche le emissioni in atmosfera per la produzione dell’energia elettrica da fornire alle navi ormeggiate a banchina per evitare che esse debbano rimanere con i motori in funzione producendo così ulteriore inquinamento.

A questo proposito il Prp prevede l’istallazione di impianti di produzione di energia rinnovabile (eolica) come primo passo del progetto del “Green Port” che ha come obbiettivo finale quello di trasformare il porto da consumatore di energia a produttore di energia pulita.

Ma per le altre emissioni il Prp non prevede alcuna misura di attenuazione se non, con notevole cinismo,  gli agenti naturali quali il vento e la pioggia.

Poi ci sono gli effetti dell’intera opera sulla linea di costa, dalle spiagge del Calambrone  fino alla foce dell’Arno.

La dichiarazione di sintesi sulla Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) del Prp, anch’essa elaborata dalla Modimar sulla base di studi effettuati applicando modelli matematici, e non invece come sarebbe stato meglio, con simulazioni su modelli fisici, sostiene che l’intera opera è sostanzialmente “ininfluente sull’andamento della linea di costa”. Contemporaneamente, però, si dice anche che l’orientamento delle opere a mare secondo i venti prevalenti “minimizza” l’effetto sulla linea di costa.

Ora, se è vero che l’orientamento minimizza gli effetti sulla linea di costa, non si può contemporaneamente affermare che l’opera è ininfluente sulla stessa e che non ci sia un effetto negativo. Tanto è vero che una parte cospicua dei materiali provenienti dai dragaggi, quelli buoni, non inquinati, è previsto che debbano servire per il “ripascimento” delle suddette spiagge.

I dragaggi

Un’altro problema non di poco conto è proprio quello dei sedimenti provenienti dai dragaggi necessari ad approfondire i fondali.

Prima di tutto c’è da risolvere il problema dei fanghi inquinati e non ancora stabilizzati della 1ª vasca di colmata per la quale si è incominciato a prospettare l’utilizzo di pali da conficcare a grande profondità per stabilizzare l’intera area e renderla capace di sostenere i grandi carichi. determinati dalle grandi gru e dalla movimentazione dei contenitori.

 Ma in questo modo si perforerebbe la geomembrana che è stata posta sul fondo e lungo gli argini delle vasche proprio per impedire la fuoriuscita dei fanghi inquinati. Proprio la soluzione che lo stesso Prp vieta categoricamente e per la cui modifica sarebbe necessaria l’approvazione di una Variante al Prp.

Oggi apprendiamo, invece, che da studi e analisi condotte dall’équipe guidata dall’ingegner Giovanni Motta che si occupa per l’A.P. dell’intera questione, nelle due vasche di colmata non ci sarebbe alcun materiale inquinato. Siamo cioè in presenza di un vero e proprio miracolo: i fanghi inquinati, riversati nelle vasche proprio per questo motivo, stando li, buoni, buoni,  per vent’anni si sarebbero bonificati da soli.

Di conseguenza, la Regione Toscana, accogliendo le indicazioni giunte dall’Autority di Palazzo Rosciano, si è subito affrettata a dare anche l’autorizzazione al perforamento della geomembrana, non ritenendo che le vasche contengano materiale pericoloso per l’ambiente.

Su questo ci deve essere un cambio di rotta: basta con le analisi di parte. Servono, una volta per tutte, analisi scientifiche accurate condotte da soggetti terzi e indipendenti. E se i fanghi risultano inquinati vanno trattati, così come dovevano essere trattati allora, prima di essere riversati nelle vasche.

Questa è l’unica soluzione rispettosa dell’ambiente e della salute dei cittadini.

C’è poi l’annoso problema della porte vinciane che se non stanno chiuse costringono  l’A.P. a periodici e costosi dragaggi per togliere l’accumulo dei sedimenti portati dallo Scolmatore dell’Arno tramite il Canale dei Navicelli direttamente in Darsena Toscana. E qui c’è  l’assurdo contenzioso con il Comune e la Provincia di Pisa che invece di decidersi una volta per tutte ad armare la foce dello Scolmatore e renderlo navigabile, pretenderebbero addirittura di mantenere il controllo delle porte vinciane, accollando, però, le spese di manutenzione all’Autority di Livorno.

Le aree da dragare ammontano a 3.400.000 m², mentre i sedimenti da asportare ammonterebbero a 17.700.000 m³. Una vera e propria montagna di fanghi in parte anche inquinati. 11.600.000 m³ servirebbero per il riempimento dei terminal, 6.100.000 m³ di buona qualità servirebbero per il ripascimento delle spiagge, 2.274.904 m³ moderatamente inquinati andrebbero invece trattati. Trattati in che modo? Dove? Solo 217.354 m³ altamente inquinati andrebbero conferiti in discarica. Quale discarica?

C’è un’alternativa?

Come si vede parecchi sono gli interrogativi che si aprono sulle diverse soluzioni che vengono prospettate. Alcuni decisamente inquietanti. Altrettanti sono gli elementi contraddittori che convivono all’interno del medesimo progetto.

Più di una ragione, quindi, per riaprire la discussione, fare una riflessione e un approfondimento.

Ma agli interrogativi già indicati noi ne vogliamo aggiungere un’altro: esiste un’alternativa a tutto questo? Noi crediamo di si.

Ovviamente l’alternativa non può assolutamente essere quella rappresentata dal ricatto insistentemente ripetuto come un mantra: o si realizza questo progetto, o “non si fa nulla e si muore”. Non proseguire nella direzione già indicata, infatti, non vuol dire necessariamente “non fare nulla”.

Ma un’alternativa non è neppure la “versione light” che resta prigioniera dell’impianto complessivo del Prp e della Piattaforma Europa, apportando solo alcune modifiche.

Per noi l’alternativa sta in primo luogo nell’inserire gli interventi previsti per i porti toscani (da Massa/Carrara, Piombino e Livorno) all’interno di un Piano nazionale della portualità e della logistica in modo tale da razionalizzare gli investimenti pubblici ed impedire insensati sprechi.

Un piano che per altro deve avere il compito di impedire di regalare ai privati, tramite il project financing, non solo significativi investimenti pubblici ma soprattutto il controllo e la gestione di un bene comune come il porto, che al contrario deve essere funzionale ai bisogni dei cittadini/e e dei lavoratori/trici del proprio territorio e quindi deve essere sottoposto ad un controllo democratico e partecipativo.

Anche per questo consideriamo negativo il processo di privatizzazione della Porto 2000 che nasce da un ideologico rifiuto da parte dell’A.P. e in ultima analisi del PD di favorire la partecipazione societaria di enti pubblici come la Regione.

In secondo luogo nel non inseguire il “gigantismo navale” nel tentativo di intercettare le nuove grandi navi che forse non arriveranno mai nel nostro porto, e contemporaneamente consolidare, migliorare e rendere più efficiente quanto è già presente non solo a mare – pensiamo solo alle vasche di colmata che una volta completate costituirebbero da sole un raddoppio della Darsena Toscana,  ma soprattutto a terra.

Politiche di questa natura andrebbero inoltre a contrastare efficacemente tutti gli effetti che il “gigantismo” si porta appresso sul terreno del lavoro, in modo particolare sulla necessità di un “esercito di riserva” di lavoratori precari, flessibili, da utilizzare solamente nei picchi, a scapito della sicurezza di un lavoro, come quello portuale, che al contrario necessità di alti standard di professionalità e qualità nella fase di carico e scarico e di una continua formazione.

D’altronde, come abbiamo potuto constatare negli ultimi tempi, pur con una infrastrutturazione rimasta invariata, sono stati sufficienti una leggera ripresa, una migliore organizzazione degli approdi e qualche relazione internazionale in più, e i traffici sono ripartiti. Basterebbe quindi rendere più sistematiche le politiche tese ad aumentare l’efficienza in tutti i settori della logistica, in termini tecnologici come anche dal punto di vista burocratico, per avere immediati risultati, partendo dall’esistente, senza dover ricorrere ad inutili quanto irrealizzabili progetti faraonici.

La crisi che ormai da decenni sta caratterizzando l’economia capitalista risulta essere sempre più una condizione strutturale, non dipendente dall’oscillazione della domanda o dell’offerta, ma da meccanismi di accumulazione che ormai sembrano inceppati.

La frenata dell’economia cinese di questi giorni non farà che aumentare nei prossimi mesi le possibilità di una instabilità economica a livello internazionale, con conseguente contrazione delle esportazioni, che metterà in crisi un sistema già oggi caratterizzato da una sovraofferta di stiva, rendendo  ancora di più ridicole le stime fino ad oggi considerate per la definizione delle caratteristiche “ottimali” del porto di Livorno.

documento di Sinistra Anticapitalista Livorno

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